Stop agli affitti brevi a Milano: è la soluzione?

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Il disegno di legge del governo Meloni ha proposto un freno importante agli affitti brevi a Milano, ma è davvero questa la soluzione per risolvere il caro affitti o forse stiamo guardando al problema da un punto di vista poco chiaro?

I prezzi delle abitazioni in affitto a Milano

Il problema è anche troppo noto: nelle grandi città mancano affitti per le fasce più deboli e per gli studenti.

Il prezzo medio per l’affitto mensile di una stanza singola a Milano nel 2023 è di 626 euro al mese. Cifra che è rimasta quasi invariata rispetto all’anno scorso, ma che rappresenta comunque il record d’Italia.

Le aree più care sono quelle del triangolo Porta Venezia – Centro – Porta Genova dove i prezzi meri vanno dagli 871 euro di zona Genova e Ticinese, ai 769 euro di zona Porta Venezia e Indipendenza, fino ai 758 euro del Centro.

Certo, ci sono anche zone di Milano nelle quali è ancora possibile risparmiare un po’, come la zona Napoli Soderini, la zona Forlanini e la zona Udine, Lambrate dove in media si spendono dai 536 euro ai 567 euro. Prezzi medi che, nonostante tutto, rimangono comunque cifre superiori rispetto a tutto il resto d’Italia.

L’offerta di campus e studentati a Milano è assolutamente insufficiente per coprire tutta la domanda abitativa degli universitari e anche per i lavoratori la situazione non è molto rosea perché molti si trovano a pagare anche il 40% del proprio stipendio per l’affitto.

Se questo scenario è noto già da diversi anni, ad aggravare la situazione ci sono sicuramente:

Insomma, vivere a Milano è diventato per molti davvero un miraggio, nonostante si stima che ci siano sul mercato circa 100.000 case sfitte.

Il disegno di legge contro gli affitti brevi

Per questo motivo il governo Meloni sta cercando di porre rimedio con un Disegno di legge che prevede alcune restrizioni. L’idea è quella di limitare l’offerta della locazione turistica temporanea per aumentare l’offerta abitativa e calmierare il caro affitto.

In quest’ottica la soluzione potrebbe agevolare alcune categorie di affittuari, studenti in primis, che faticano a trovare locazioni nelle quali vivere per poter studiare, e fasce più deboli.

La misura prevede:

  • La permanenza obbligatoria minima di due notti nei centri storici delle grandi città e nei comuni a vocazione turistica;
  • Un codice identificativo obbligatorio per ogni appartamento da esporre al all’ingresso della casa;
  • Un obbligo per chi affitta più di quattro appartamenti di presentare una comunicazione di inizio attività, con una nuova categoria economica assegnata alle locazioni turistiche.

Ovviamente la misura che più sta facendo storcere il naso è l’obbligo della permanenza minima di due notti nei centri storici delle città metropolitane, tra le quali ovviamente Milano, Roma, Venezia, Bologna, Firenze e Napoli. Anche i comuni di altre città ad alta densità turistica potranno comunque decidere se attuare lo stesso obbligo, si parla di circa un migliaio di comuni, esclusi quelli sotto i 5.000 abitanti, i cosiddetti borghi.

La norma è ancora agli inizi del suo iter in Parlamento, ma ha già fatto molto discutere. La misura infatti è stata già adottata anche da diversi Paesi europei, ma ha portato a soluzioni poco efficaci.

La risposta di Milano

Il sindaco e la giunta Sala a Milano non hanno tardato a manifestare il loro disappunto, proponendo misure alternative per ridurre la mancanza di locazioni a lungo termine, che dovrebbero minacciare in misura minore la ricettività turistica.

La proposta di Sala è quella di ridurre i giorni destinati agli affitti brevi. Questa manovra è già in atto ad esempio a Venezia dove, chi possiede un appartamento ad uso turistico, non può darlo in locazione per più di 120 o 180 giorni nell’arco dell’anno solare.

L’idea presentata dall’assessore Maran è duplice:

  • limitare i giorni di affitto durante l’anno a 180, se la casa messa a reddito è una seconda casa,
  • l’obbligo di effettuare affitti a lungo termine per le terze o più case di proprietà che non potranno più essere messe a disposizione per affitti brevi.

In quest’ottica i piccoli proprietari vedrebbero limitata probabilmente solo in parte la propria libertà d’affitto turistico, mentre sarebbe possibile rivedere spuntare sul mercato immobili di proprietà di grandi proprietari.

Ovviamente anche questa misura non sarebbe esente da contropartite perché si stima che il mercato turistico potrebbe avere un crollo che va dal 15 al 20% e si potrebbe avere in parallelo un considerevole aumento dei prezzi di mercato per le soluzioni turistiche.

Si stimano prenotazioni per il 2023 pari a 350 milioni di euro, di cui solo 171 milioni vanno ai singoli proprietari, mentre il 19,5% va direttamente nelle casse dello stato tra imposta di soggiorno, cedolare secca e IVA. Oltre a questo dato bisogna anche tenere conto del riflesso sull’indotto che si aggira attorno a 1,7 miliardi.

E allora mi preme tornare su un punto: perché non si parla di misure per sbloccare gli stipendi, frenare l’inflazione e far tornare sul mercato le circa cento mila case sfitte?

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